COSA MI E' PIACIUTO: 
          
          a parte il marchingegno citato nel titolo, è una storia abbastanza 
          convenzionale nella costruzione e nella narrazione, ma nonostante ciò 
          sa prodursi in un buon crescendo rossiniano (anche se il compositore 
          in questione è Mozart, Rossini c'entra solo col titolo), e la 
          parte migliore è quella finale ambientata in Siberia. Le risorse 
          impiegate sono enormi (è stato il film più costoso della 
          storia del cinema russo), e Mikhalkov dimostra di saperle sfruttare, 
          dopo aver dato prova di poter fare anche dei bellissimi film con nulla 
          (Oblomov, Partitura incompiuta per pianola meccanica, due opere in cui 
          la qualità artistica è inversamente proporzionale alla 
          quantità di mezzi). I personaggi più azzeccati sono due 
          figure molto secondarie: la mamma di Andrei (Marina Neyolova), e l'affezionatissima 
          Douniacha (Anna Mikhalkova, figlia del regista). Bella almeno la seconda 
          parte della scena corale della Domenica del Perdono, anche se un po' 
          guastata dalla musica sguaiatamente hollywoodiana. Nel complesso i passaggi 
          degni di nota non son pochi, ma per esempio la scena della deportazione 
          parte benissimo e finisce malissimo, con la deplorevole melensaggine 
          del pianto dei cadetti, mentre invece non hanno nulla che le guasti 
          la scene del duello, e quella del ferimento con l'archetto, preparata 
          in maniera visualmente originale. Come visivamente bellissima è 
          tutta l'ultima parte, e in particolare la visita di Jane alla casa in 
          Siberia, cromaticamente inebriante.
        
          
          COSA NON MI HA CONVINTO: il problema non sono le quasi tre ore, ma piuttosto 
          la prima di queste tre ore, che è un pallido riflesso del miglior 
          cinema di Mikhalkov. Gli arguti intermezzi fanno da intermezzi fra di 
          loro, manca la polpa. Tutti quegli ufficiali russi che sanno parlare 
          l'inglese fanno un po' sorridere. La scena dell'attentato è viziata 
          da un clamoroso difetto: il cocchiere alza le mani al cielo nel momento 
          esatto in cui scoppia l'ordigno, non dopo. Non ho capito che bisogno 
          ci fosse di truccare Menshikov in quel modo per l'ultima inquadratura. 
          Le musiche originali sono tronfie. Julia Ormond non sembra possedere 
          quel fascino che possa giustificare una storia così sontuosa, 
          né il pur bravo Oleg Menshikov è in grado di riflettere 
          l'ispirazione di Mikhalkov nella misura in cui vi riusciva per esempio 
          Oleg Tabakov (Oblomov), per non parlare di Mastroianni (Oci ciornie).
        
          Ho visto Il barbiere di Siberia in inglese e in russo 
          (nella traccia audio originale sono presenti dialoghi in entrambe queste 
          lingue), con i sottotitoli in italiano (escludibili).
        
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