COSA MI E' PIACIUTO: il film è insolito 
          a partire dallo spunto di partenza, che più che spina dorsale 
          dell'opera ne è il motore (definirlo pretesto sarebbe riduttivo): 
          una giovane attende l'esecuzione della propria condanna a morte per 
          aver ucciso e mangiato il fratello, e si racconta - in poesia nelle 
          vesti femminili di sé stessa, in forma libera e scanzonata di 
          diario della memoria quando a parlare è il fratello che è 
          in lei, sul palcoscenico di un teatro. La somma delle due personalità 
          non è che un'immagine autobiografica dell'autore. Cribari offre 
          alla sua creatura la linfa della poesia (i testi sono suoi) e la ricerca 
          costante dell'immagine preziosa e evocativa (gli giovano le sue esperienze 
          di fotografo). Pur essendo anche un film sul teatro, non è un 
          film teatrale in senso stretto, perché le tecniche adottate, 
          di ripresa e di montaggio, sono prettamente cinematografiche. Per esempio 
          il bianco e nero e il colore vengono alternati, o fatti coesistere, 
          non per demarcare il campo del reale e quello del fantastico o del ricordo, 
          ma per separare le due personalità, e semmai è la metà 
          che si rivolge al passato, quella del fratello, che pensa a colori. 
          Le riprese in bianco e nero ricordano in alcuni momenti certi grandi 
          sceneggiati televisivi d'autore (quelli che oggi si chiamano "fiction" 
          e sono nella maggior parte dei casi molto meno grandi), in altri alcuni 
          film "monografici" come il notevole "Gostanza da Libbiano", 
          di Paolo Benvenuti, con Lucia Poli. Per far funzionare il progetto, 
          occorreva però anche una ispiratissima interprete femminile, 
          quale si è rivelata Erika Renai, attrice fiorentina prevalentemente 
          di teatro, intelligente e fantasiosa, che io colpevolmente non conoscevo. 
          Arricchiscono il quadro gli interventi di alcuni attori già molto 
          noti, come Alessandro Benvenuti e Barbara Enrichi, efficaci quanto, 
          sorprendentemente, il cantante Marco Masini, al suo debutto cinematografico. 
          E' un film anche divertente, non si tema il mattone. I cambi di registro 
          sono agili e non forzati, il giocare con le parole di Cribari è 
          suggestivo e non futile. I riferimenti al calcio rivelano che l'autore 
          è profondamente, e non banalmente,"a conoscenza dei fatti". 
          Del resto come potrebbe essere banale un fiorentino tifoso dell'Atalanta?
         COSA NON MI HA CONVINTO: la testa e la coda sanno 
          un po', dal punto di vista grafico, di cdrom multimediale, e sembrano 
          quasi estranei al film. Per il resto, l'originalità di "Via 
          Varsavia", terzo lungometraggio di un autore e regista di 29 anni, 
          ed il coinvolgimento che offre, mi hanno un po' distratto dal tentativo 
          di fargli le pulci a tutti i costi.
        Ho visto Via Varsavia in italiano senza 
          sottotitoli. 
        
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