COSA MI E' PIACIUTO: 
          
          prima di vedere il film pensavo che un'impresa del genere fosse una 
          follia. Un po' continuo a pensarlo anche dopo la visione, ma l'ammirazione 
          per la pazienza certosina con cui questi due entomologi hanno messo 
          insieme un'ora e un quarto d'immagini quasi sempre inconsuete - e talora 
          stupefacenti - non la posso nascondere. "Macrofotografare è 
          facile e divertente" recitava un vecchio manuale di una macchina 
          fotografica che possedevo diversi anni fa. Come no? Divertente quando 
          si riesce a cavare qualcosa di decente (per esempio un ragno dal buco, 
          se posso concedermi una facile battuta a tema), facile giammai. La profondità 
          di campo con un micro-obbiettivo è, in condizioni di luce ideali, 
          di un paio di millimetri, altrimenti è pressoché nulla. 
          Tornando al film, penso che arrivare a un'ora e un quarto non sia stato 
          facile per i realizzatori, se è vero che non è facile 
          neppure per lo spettatore (quantomeno non lo è stato per me). 
          Le scene sicuramente originali e memorabili non sono che 5 o 6, ma queste 
          poche sono eccezionali. Il finale, con la trasformazione della larva 
          in zanzara, mi ricorda la vicenda di quel giocoliere che si esercitò 
          per anni e anni in un numero ai confini dell'impossibile: tenere in 
          equilibrio sulla testa due biglie di vetro una sopra l'altra. Quando 
          finalmente si sentì pronto, fece il numero in pubblico, gli riuscì 
          perfettamente, ma nessuno capì cosa ci fosse di straordinario, 
          e come ricompensa ebbe un fiacco applauso di cortesia. Musiche gradevoli 
          e ben bilanciate con i rumori ambientali. A parte una brevissima presentazione 
          di Jacques Perrin sulle prime immagini, ciò che si ode sono soltanto 
          i rumori e la musica.
        
          
          COSA NON MI HA CONVINTO: come spiegato dalla regista, è stata 
          approntata una vera e propria sceneggiatura, in modo da costruire qualcosa 
          che andasse oltre il documentario, ma che aspirava ad essere un autentico 
          film drammatico, avvalendosi anche dell'uso drammaturgico del commento 
          musicale. Che dei valenti e appassionati entomologi potessero essere 
          anche dei bravi sceneggiatori non l'avrei mai sospettato. E facevo bene. 
          Come ho già accennato prima, ho fatto fatica ad arrivare in fondo, 
          avendo trovato abbastanza noiose tutte le parti che costituiscono il 
          tessuto connettivo del film, e che hanno cioè la funzione di 
          collegare fra loro le scene forti. Il guaio è che queste parti 
          rappresentano circa i due terzi dell'intero lavoro. Jacques Perrin produrrà 
          sei anni dopo Microcosmos un altro documentario, Il 
          popolo migratore, di cui sarà anche co-regista, e questa 
          volta i risultati saranno eccezionali, senza riserve.
        
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